DESCRIZIONE DELLA MONTAGNA DI POLIZZELLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Muoviamo il passo verso quel gruppo numeroso e importante di grotte che si trovano nella così detta Montagna, che segna il culmine dei due declivi del Belice e del Fiumicello e che misura un'altezza di 879 sul livello del mare.
Questa Montagna, che fa parte dell'ex feudo Polizzello, contrada Quarto di Rose, si trova ad est e a dieci chilometri di distanza dall'abitato di Mussomeli.
Nelle pendici che volgono ad est a sud e ad ovest, in punti così alpestri da parere quasi inverosimile che il piede dell'uomo mai potuto accedervi, sono scavate numerose grotte dette a forno, perchè, come i forni, presentano la volta per lo più leggermente sferica, talora anche irregolarmente piana, ed hanno un'apertura, per la quale a stento può passare un uomo.
Quest'apertura di forma quasi quadrata ha tutt'ora in alcune di esse gli spigoli a rincasso.
La struttura interna poi mostra che coloro che eseguirono gli scavi disponevano di strumenti abbastanza primitivi.
Basterebbero tali modalità e il numero rilevante di queste grotte, ora isolate, ora a gruppi di due, tre, quattro, per affermare che queste furono anticamente tombe d'una popolazione che colà ebbe dimora.
E se nulla ci è stato dato di raccogliere delle suppellettili funerarie, perchè da tempo antico vennero manomesse e spogliate, testimoni oculari ci hanno assicurato, che circo 20 anni or sono, essendosi aperta per caso nelle parte più alta una di queste grotte, tolto il terriccio, che dalle fessure per effetto delle acque piovane vi era penetrato, nel vano perfettamente a forno, uno scheletro di grande statura, con la testa appoggiata sopra un rilievo di pietra a forma di guanciale, e dal lato opposto uno scheletro di bambino con la testa appoggiata anch'essa sopra un rialzo di pietra.
A destra dello scheletro grande, che nelle fantasia del popolo passò subito per quello di un gigante, erano un lekitos senza alcuna decorazione con anse verticali ed una moneta di bronzo della grandezza d'un nostro centesimo.
Questi sepolcri, pur nello stato in cui oggi si trovano, richiamano alla mente la nota necropoli di Pantalica in provincia di Siracusa, la più grande del genere che esista in Sicilia e,per citare, fra le tante, una a noi più vicina, la necropoli di Gibil-Gabid a pochi chilometri da Caltanissetta.
Ad oriente ed alle falfe della montagna, là dove il terreno scende a più dolce declivio, in direzione del fiume Belice, e propriamente nei pressi dell'attuale fattoria di Polizzello, si trovano loculi sepolcrali, scavati nel tufo calcareo del suolo, della capacità di un cadavere,con le pareti e gli angoli bene intagliati.
Anche queste tombe vennero già anticamente spogliate e distrutte; e poichè il terreno è stato incessantemente da secoli smosso dalla zappa e dall'aratro, è a temere che l'opera di chi voglia esplorare e studiare questi sepolcri isolati giunga in ritardo.
Nell'altopiano che si estende in cacumine montis, e che è limitato tutto attorno da ripide scoscese e balzi quasi a picco, si trovano le vestigia delle antiche abitazioni, consistenti in residui laterizi e cocci di vasi, taluni di rozzo impasto e d'imperfetta cottura, altri invece di finissima grana, bellamente smaltati in nero e in rosso.
Gli uomini che qui vennero a stabilirsi tennero evidentemente conto delle accidentalità della rupe, che la rendono una fortezza naturale, e dall'aria purissima che vi si respira.
Quell'altipiano è veramente incantevole, e col suo splendido panorama compensa il visitatore della disagevole salita.
Ivi l'occhio spazia tutt'intorno fino al nevoso Mongibello, alla catena delle Madonie, al Monte San Calogero presso Termini Imerese ai monti di Prizzi e di Mezzoiuso, alla montagna di Cammarata, mentre a mezzogiorno domina buona parte delle provincie di Caltanissetta e di Agrigento fino quasi al mare Africano.
Quella piccola borgata poteva per splendore di posizione rivaleggiare alla superba Enna.
Una recente scoperta è venuta in questi ultimi anni ad accrescere importanza a questo sito, per se stesso molto interessante.
Nel 1889, a poca distanza dal pianoro, dalla parte occidentale, un contadino, arando la terra, trovò entro un vaso di creta di dozzinale fattura molte armi di rame e di bronzo, che, per la perfezione del lavoro e la buona lega del metallo, devono rimontare ad un'età assai progredita nell'incivilimento.
Vi erano anche pezzi informi di rame e di stagno, sicchè non è fuor di luogo congetturare che tanti diversi oggetti conservati in un unico vaso fossero stati destinati a materiale di fusione.
Se a ciò si aggiunge che molti anni prima si era rinvenuto nella stessa contrada un piccolo bronzo rappresentante un uomo, o un Dio, a cavalcione di un bue, lavoro di squisita fattura, non è a dubitare che la popolazione che possedette questi oggetti sia vissuta in tempi più progrediti di quelli cui appartennero gli uomini che scavarono ai fianchi del monte le rozze celle sepolcrali.

 

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